E resta la mia inappartenenza Il barbaro richiamo senza terra, l'accoglienza Al vento che devasta ogni parvenza Resta il corpo abbandonato al suo deserto Lo sguardo che traguarda un cielo assurdo, il mare aperto Ad ogni viandante che va incerto E resta pure l'odio senza oggetto L'amore che ne stilla senza colpa dentro al petto Ed il furore del silenzio E resta la parola, resta la sua notte, resta la mia riconoscenza Resta la fragile sapienza Di ciò che scuote e forma la mia essenza Resta un concerto di luci abbaglianti Viste, quella notte, all'orizzonte, là davanti I fulmini sul monte e i loro schianti Resta la carezza del tuo ventre Il timido esitare nella notte della mente Che non ha da pensare se ti sente Resta l'ebbrezza di due canti Che m'affascina, e mi lacera l'angoscia di quei pianti Il bilico di mondi discordanti Resta il riso, che non sa perché si ride Non conosce meta né dolore perché vive Che non c'è colpa alcuna per chi vive E resta la parola, resta la sua notte, resta la mia riconoscenza Resta la fragile sapienza Di ciò che scuote e forma la mia essenza E questo è il tempo che resta